L’impiego dell’innovativo sistema di screening sviluppato da GE Healthcare garantisce maggiore efficacia nella prevenzione del cancro al seno e significativi risparmi per il SSN, calcolati in ben 54milioni in tre anni
Nella prevenzione del tumore al seno è possibile conciliare alta qualità delle immagini e massima economicità? Si possono ottenere diagnosi accurate e precoci riducendo anche i costi a carico della sanità pubblica?
In questo articolo cercheremo di dimostrare, dati alla mano, che grazie alla tecnologia ABUS tutto ciò è possibile.
Il sistema ABUS di GE Healthcare
Da diversi anni la multinazionale GE Healthcare lavorava alla progettazione di un innovativo sistema di ecografia mammaria in grado di rispondere alle esigenze delle donne con tessuto mammario particolarmente denso (rappresentativo del 40% della popolazione femminile).
Queste pazienti vanno incontro a un importante rischio a causa della difficoltà delle tecnologie tradizionali a diagnosticare un eventuale tumore alla mammella.
Stando agli ultimi dati disponibili, nei casi di tessuto mammario particolarmente denso, la mammografia tradizionale non riesce a rilevare oltre un terzo dei tumori ed è in questo scenario complesso che è nato ABUS (Automated Breast Ultrasound System).
L’architettura di ABUS si avvale di un innovativo sistema software per processare l’immagine, offrendo prestazioni di alta qualità nell’imaging della mammella, anche nel caso di significativa densità del tessuto. L’apparecchiatura fornisce un’immagine caratterizzata da notevole risoluzione, grazie all’elevata potenza di elaborazione e alla tecnologia proprietaria di formazione del fascio ultrasonoro che realizza la continua messa a fuoco di ogni pixel: ogni scansione 2D contribuisce, pertanto, alla realizzazione di dataset volumetrici esplorabili sul piano coronale.
I risultati di una ricerca multidisciplinare
Appena apparsa sul mercato, la tecnologia ABUS è stata subito oggetto di interesse e diverse ricerche scientifiche tra cui quella condotta dalla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori e dal Centro di Economia della Salute e Gestione sociale e Sanitaria dell’Università di Castellanza sull’efficacia diagnostica e l’analisi costi/benefici.
Nello studio viene dimostrato che non solo lo screening supplementare fa crescere l’accuratezza e la qualità clinica della diagnosi ma anche che “da un punto di vista economico, l’introduzione di ABUS rappresenta uno scenario ampiamente sostenibile per il Servizio Sanitario Regionale e che dovrebbe essere seriamente preso in considerazione dati i limiti esistenti nei programmi di screening attualmente adottati”.
ABUS ha quindi un grande potenziale di risparmio economico e la ragione è semplice: diagnosticare i tumori in una fase molto precoce vuol dire non dover affrontare gli enormi costi economici (per non contare quelli umani) legati al trattamento e cura della malattia nel corso degli anni.
I ricercatori, infatti, hanno studiato sia la fase della diagnosi, sia quella della cura del cancro, consapevoli che il ritardo diagnostico genera un immediato aumento del tasso di mortalità.
In questo complesso lavoro sono così riusciti a dimostrare che l’utilizzo massivo del nuovo sistema di ecografia mammaria automatizzata, inizialmente comporterebbe un aumento della spesa di investimento ma, nel giro di pochi anni dall’entrata a regime, il nuovo sistema di screening potrebbe generare un risparmio di risorse pubbliche che hanno quantificato in 54 milioni di euro in tre anni.
Installazioni di ABUS in Puglia
Quando i risultati di questa e di altre ricerche scientifiche hanno iniziato a circolare, i manager sanitari pugliesi, pubblici e privati, hanno voluto capire meglio in cosa consistesse questo sistema ABUS, in grado di migliorare la rilevazione dei tumori della mammella del 55% rispetto all’utilizzo della sola mammografia.
“Quando mi sono imbattuto nella presentazione che il nostro partner commerciale Predict ci ha proposto per questa nuova tecnologia di screening mammografico – ci ha raccontato Beppe Calabrese, fondatore dell’Istituto Oncologico Salentino – sono rimasto molto colpito dalla potenza dello strumento in termini di possibili applicazioni cliniche e di imaging integrato. Dopo essermi confrontato con le specialiste senologhe del nostro Poliambulatorio, ho avuto conferma che era la macchina che faceva per noi. Il nostro gruppo denominato “Rete Salute Calabrese” è sempre stato molto orientato agli investimenti visionari e un po’ folli… siamo infatti stati tra i primi in Italia ad acquistare (come struttura privata) la tecnologia PET-TC e oggi siamo i primi in Puglia ad esserci dotati di ABUS – ha concluso Calabrese”.
La prima struttura sanitaria pubblica ad investire su ABUS è stata l’azienda ospedaliera Policlinico di Bari.
“Noi abbiamo acquistato questo tipo di apparecchiatura ecografica – ci ha spiegato il Marco Moschetta responsabile del reparto di Senologia e coordinatore della Brest unit del Policlinico di Bari – perché, essendo semi automatica, è meno operatore dipendente e ci dà quindi la possibilità di ottenere delle immagini tridimensionali più oggettive, anche su un piano che noi chiamiamo coronale, cioè di ricostruzione d’immagine frontale che con altri ecografi non abbiamo”.
“Questo per noi che siamo anche un centro universitario di formazione – ha proseguito il dott. Moschetta – è un grosso vantaggio perché la metodica diventa più precisa e ci consente, anche a livello di didattica, di essere utilizzata dai nostri specializzandi, giovani medici che certamente nei prossimi anni avranno l’opportunità di utilizzarla, trattandosi di una metodica promettente.
“Abbiamo acquistato questa apparecchiatura – ha proseguito Moschetta – con un progetto di finanziamento europeo, con fondi Fesr finalizzati al potenziamento dell’attività senologica. La stiamo però utilizzando anche in altri contesti clinici, dove sembra davvero promettente. Un esempio è quello dell’indagine pre-operatoria: cioè, una volta trovato un tumore al seno, prima dell’intervento, questo tipo di ecografia ci aiuta a valutare meglio le dimensioni della massa, verificare se ci sono altri tumori nello stesso seno o nell’altra mammella. Altro utilizzo è quello di valutare le risposte ai trattamenti chemioterapici, quindi, quanto si riducono i tumori prima e dopo la chemioterapia. O ancora, dopo una risonanza magnetica alla mammella, usiamo ABUS per riscontrare quei noduli che la risonanza non ha visto e, quindi, poterli ritrovare anche con l’ecografia automatica. Insomma – conclude il responsabile della Senologia del Policlinico di Bari – oltre lo screening, ABUS ha degli ampi sviluppi clinici che sembrano davvero promettenti”.
(a cura di Mario Maffei – Comunicazione Sanitaria)